Il pianoforte è uno strumento musicale a corde percosse mediante martelletti azionati da una tastiera.
La tastiera è solitamente composta da 88 tasti, 52 di colore bianco e 36 di colore nero. I tasti bianchi rappresentano le note: do, re, mi, fa, sol, la, si. I tasti neri, invece, individuano le alterazioni (note bemolli o diesis). Il pianoforte è il più diffuso strumento appartenente ai cordofoni a corde percosse; altri membri sono il clavicordo, oggi utilizzato prevalentemente per l’esecuzione filologica della musica d’epoca, e il fortepiano, progenitore del pianoforte.
L’origine della parola pianoforte è italiana ed è riferita alla possibilità che lo strumento offre di suonare note a volumi diversi in base al tocco, effetto non ottenibile negli strumenti a tastiera precedenti, quali il clavicembalo.
Anche mediante l’intervento sui pedali (solitamente tre), che azionano particolari meccanismi, il suono può essere modificato: in un moderno pianoforte a coda troviamo, da sinistra a destra, l’una corda, il tonale e quello di risonanza. Nei pianoforti verticali il pedale centrale aziona la sordina, che frappone una striscia di feltro fra le corde e i martelli per attutire il suono. Solo il primo e il terzo pedale sono presenti su tutti i pianoforti.
Chi suona il pianoforte viene chiamato pianista.
La Storia
Il primo modello di pianoforte fu messo a punto in Italia da Bartolomeo Cristofori, padovano alla corte fiorentina di Cosimo III de’ Medici, a partire dal 1698. Per la precisione era un “gravicembalo col piano e forte”, chiamato verso la fine del Settecento con il nome pianoforte, piano-forte, ed anche “fortepiano” (come risulta dalle locandine coeve dei concerti di Beethoven ed altri grandi compositori dell’epoca in cui il pianoforte andò affermandosi). La novità era l’applicazione di una martelliera al clavicembalo. L’idea di Cristofori era di creare un clavicembalo con possibilità dinamiche controllabili dall’esecutore; nel clavicembalo, infatti, le corde pizzicate non permettono di controllare la dinamica (anche per questo motivo, pianoforte e clavicembalo non appartengono alla stessa sottofamiglia).
Il pianoforte non ebbe successo in Italia, ma l’idea finì molti anni dopo in Germania, dove il costruttore di organi Gottfried Silbermann nel 1726 ricostruì una copia esatta del pianoforte di Cristofori, che sottopose al parere di Johann Sebastian Bach, il quale ne diede un giudizio fortemente critico; successivamente, probabilmente a seguito dei miglioramenti tecnici apportati da Silbermann, lo stesso Bach risulta però aver personalmente favorito la vendita di alcuni pianoforti del costruttore, come risulta da un vero e proprio contratto di intermediazione firmato nel 1749. I pianoforti di Silbermann piacquero molto a Federico II di Prussia che, per arricchire i propri palazzi, ne comprò sette per 700 talleri (secondo la testimonianza di Johann Nikolaus Forkel, Federico acquistò negli anni più di 15 pianoforti Silbermann).
Alla bottega di Gottfried Silbermann si formò Johann Andreas Stein che, dopo essersi reso indipendente, perfezionò ad Augusta, in un proprio stabilimento, i sistemi dello scappamento e degli smorzatori. Nel 1777 ricevette la visita di Wolfgang Amadeus Mozart, il quale fu entusiasta delle infinite possibilità espressive dello strumento. I figli di Stein si trasferirono in seguito a Vienna, dove crearono una fabbrica di pianoforti.
In Italia, tra i non molti che si dedicarono alla costruzione dei pianoforti (in precedenza tutti costruttori di clavicembali) nel periodo napoleonico e della Restaurazione, sicuramente fu degna di fama la famiglia Cresci, di origine pisana, trasferitasi nella seconda metà del ‘700 a Livorno. Il musicologo Carlo Gervasoni, nella sua opera Nuova teoria di musica ricavata dall’odierna pratica, ossia (…) del 1812, menziona i pianoforti Cresci come paragonabili in qualità e sonorità agli Érard francesi, che andavano per la maggiore nella capitale imperiale Parigi.
La meccanica dei Cresci era di tipo viennese, cioè del tipo dei pianoforti di Joseph Böhm, Conrad Graf e Johann Schantz. La scuola viennese era sicuramente la più importante e sviluppata tra gli ultimi decenni del ‘700 e i primi dell’800.
Non fu un caso che tanto Mozart, quanto Beethoven o Franz Joseph Haydn, tutti in qualche modo legati a Vienna, sviluppassero per primi le incredibili potenzialità del nuovo strumento. Quello che frenava la diffusione del pianoforte nascente era il suo altissimo costo, per cui esso andò affermandosi solo nelle corti reali, nei palazzi governativi e nei saloni delle principali famiglie nobili. Inoltre il suo livello sonoro non era neppure paragonabile all’attuale e questo permetteva il suo uso solo in salotti o saloni di dimensioni relativamente contenute.
Fu in epoca romantica, dal 1840 in poi, che l’utilizzo di strutture rigide metalliche all’interno (in precedenza i pianoforti erano quasi tutti interamente in legno), con funzioni di telaio, consentì l’incremento della sonorità, grazie a più corde con tensioni maggiori e casse armoniche più grandi (ed andarono affermandosi i “coda” e “gran coda”, che all’epoca andavano da 220 a 260 cm). E anche il peso passò dai 180-200 kg (struttura interamente in legno) ai 300-400 (strutture in ferro), sino ai 600 ed oltre di inizio ‘900 (strutture in ghisa).
Questo incremento della potenza sonora del pianoforte ne consentì l’uso nei grandi teatri o nelle sale da concerto, ma trasformò profondamente la sua qualità sonora.
Ascoltare un brano di Beethoven suonato con un pianoforte viennese della sua epoca, o Liszt e Chopin con un Érard o Pleyel del periodo romantico, ci permette di comprendere veramente cosa volesse esprimere il compositore. Farlo con uno moderno ci conduce ad una reinterpretazione.
Il pianoforte attuale, apparso sul finire del XIX secolo, ha ben poco della timbrica originale di inizio ‘800. Oggi è molto diffuso chiamare “fortepiani” gli strumenti costruiti sino al 3° quarto dell’800, a causa della grande diversità della struttura e quindi della timbrica rispetto al pianoforte attuale. Non è, tuttavia, sempre facile distinguere nettamente fra l’una e l’altra tipologia, perché non si tratta di due strumenti diversi, ma del medesimo strumento, che ha subito gradualmente una profonda evoluzione; tanto più che all’epoca non si è mai avvertito un vero momento di stacco nel passaggio dal fortepiano al pianoforte moderno, come si può facilmente desumere dai documenti e dai testi.
I primi pianoforti verticali, più economici e meno ingombranti, furono creati forse nel 1780 da Johann Schmidt di Salisburgo e nel 1789 da William Southwell di Dublino.
I costruttori francesi più famosi, Sébastien Érard e Ignace Pleyel, furono i più grandi produttori di pianoforti dell’Ottocento. L’Érard, in particolare, era uno strumento di relativamente grande potenza sonora e di suono deciso (e potremmo dire “più moderno”), che dava particolare risalto espressivo. Franz Liszt ne fece il suo preferito. Ad Érard si devono moltissime invenzioni e perfezionamenti, tra cui quella del doppio scappamento. Il Pleyel invece aveva una grande dolcezza e pulizia sonora ed era relativamente più faticoso e difficile da suonare, perché permetteva molte sfumature interpretative ed aveva una maggiore sensibilità. Era il pianoforte romantico per eccellenza. Chopin ne fece il suo preferito (sebbene si narri che, quando era stanco, suonasse l’Érard, perché il Pleyel “gli chiedeva troppo..”).
Nel 1861 i torinesi Luigi Caldera e Ludovico Montù inventarono il melopiano, ovvero un pianoforte dotato di motore con carica a manovella.[2]
All’inizio del XX secolo la Steinway & Sons di New York brevettò il pianoforte con il telaio in ghisa e divenne il maggior produttore mondiale di pianoforti di qualità del Novecento.
Un valido costruttore italiano di pianoforti è stato Cesare Augusto Tallone. Attualmente, il costruttore italiano che è assurto a rinomanza mondiale è Fazioli.
La struttura
Il pianoforte è costituito da otto parti:
- la cassa, la tavola armonica;
- la struttura portante e il rivestimento esterno;
- la tastiera;
- la meccanica;
- la cordiera;
- i pedali.
La cassa e la tavola armonica
La cassa e la tavola armonica sono generalmente in legno, principalmente abete e pioppo. Il somiere, parte in cui stanno le caviglie (o piroli) per tirare o allentare le corde, è spesso in legno di faggio.
La tastiera
La tastiera è la parte del pianoforte dove sono posizionati i tasti. La base su cui questa regge è spesso in abete. Lo strumento dispone generalmente di 88 tasti, 52 bianchi e 36 neri, corrispondenti ad un’estensione di sette ottave e una terza minore e disposti nella classica successione che intervalla gruppi di due e tre tasti neri. Questa successione permette di suonare le 12 note della scala cromatica abbassando, nell’ordine, 12 tasti della tastiera. In alcuni pianoforti (pochi modelli) la tastiera si estende di 4 o persino 9 tasti oltre i normali 88, andando verso i bassi. Il punto di riferimento centrale della tastiera è un tasto do, chiamato per questo “do centrale”.
I tasti dei pianoforti più sofisticati sono spesso in avorio ed ebano, mentre per i pianoforti comuni è usata generalmente la galalite (sostanza di consistenza cornea, ottenuta dalla caseina).
La nota do, a partire dalla quale è possibile eseguire la scala di do maggiore, priva di alterazioni, è il tasto bianco situato esattamente prima di ogni successione di due tasti neri. In genere i tasti neri, in considerazione della tonalitàdella musica da eseguire, vengono chiamati bemolle o diesis (più generalmente: alterazioni), a seconda che si riferiscano alla nota che li segue o a quella che li precede. Nei due casi, comunque, essi producono un suono che risulta più basso o più alto di un semitono (mezzo tono) rispetto ai tasti bianchi contigui.
La meccanica
La meccanica è una delle parti fondamentali del pianoforte: comprende una serie di strumenti e sistemi che permettono la produzione del suono con l’azione del martelletto sulla corda attraverso l’abbassamento del tasto.
Funzionamento della meccanica
Quanto segue si riferisce alla meccanica “moderna” dei pianoforti a coda.
Quando si preme un tasto del pianoforte si alza lo smorzatore per permettere alle corde percosse dal martelletto di vibrare. Il cavalletto si solleva, trascinando con sé il bastone dello scappamento. Lo scappamento mette in funzione un rullino in feltro che è fissato all’asta del martelletto che di conseguenza si solleva. L’asta superiore del cavalletto va verso l’alto fin quando la sua estremità non tocca il bottoncino di regolazione. Il martelletto continua la sua corsa colpendo le corde e separandosi dal bastone di scappamento e dallo stesso cavalletto. Anche lo spingitore si alza e rimane sospeso fino a quando il tasto non viene rilasciato.
Dopo aver percosso la corda, a tasto ancora abbassato, il martelletto ricade anche se non completamente; infatti viene fermato dal rullino dell’asta del martelletto che si adagia sull’asta superiore del cavalletto ancora sollevata. Lo scappamento torna così alla sua posizione iniziale, cioè sotto l’asta del martelletto parzialmente alzato. Allo stesso tempo il paramartelletto impedisce che il martelletto rimbalzi sulle corde percuotendole nuovamente. Nel caso in cui il tasto venga rilasciato solo in modo parziale, il martelletto si muove libero dal paramartello mentre lo spingitore resta alzato. A questo punto se si preme di nuovo il tasto (che non è stato rilasciato completamente), lo scappamento è in grado di spingere di nuovo il rullino e l’asta del martello verso l’alto.
Questo sistema è chiamato “doppio scappamento” e permette di eseguire rapidamente la ripetizione di una stessa nota, senza che il tasto (e quindi anche il martelletto) ritornino alla propria posizione iniziale. Alla pressione del tasto, viene attivato un montante, che solleva lo smorzatore della corda relativa al tasto premuto, cosicché essa può vibrare liberamente. Rilasciato il tasto, di circa il 50% della sua corsa, lo smorzatore ricade sulla corda, bloccandone la vibrazione, e tutte le parti della meccanica tornano alla loro posizione d’origine, grazie anche alla forza di gravità. È opportuno ricordare che “doppio scappamento” è solo un modo di dire, in quanto teoricamente questo meccanismo permette di ripetere lo scappamento all’infinito.
Il pianoforte verticale, invece, non dispone del doppio scappamento; inoltre, non tutte le parti della sua meccanica tornano alla loro posizione iniziale grazie alla forza di gravità, perché i pezzi sono disposti verticalmente, per cui vengono utilizzate piccole strisce di feltro che aiutano il meccanismo.
Confronto con altri cordofoni
In quanto strumento dotato di una tastiera e di corde, il pianoforte è simile al clavicordo e al clavicembalo, dai quali si distingue per il modo in cui si produce il suono:
- nel clavicembalo (e tutti gli altri strumenti a penna, come la spinetta e il virginale), le corde vengono pizzicate da un plettro (o penna) posizionato su un’asticella (detta salterello) che si alza quando il tasto viene abbassato, non permettendo così ottenere variazioni di intensità;
- nel clavicordo, le corde vengono colpite da piccole lamine di metallo (dette tangenti) che rimangono a contatto con le corde per tutta la durata dell’azionamento del tasto. La variazione del tocco modifica, per una certa misura, l’intensità di un suono già per natura piuttosto debole;
- nel pianoforte, le corde sono colpite da martelletti che immediatamente rimbalzano, permettendo quindi alla corda di vibrare liberamente, fino al rilascio del tasto che provoca l’intervento dello smorzatore.
Parti della meccanica
- scappamento: è un meccanismo che permette al martelletto di tornare alla sua posizione iniziale, dopo aver percosso la corda, mentre il tasto è ancora abbassato. Generalmente nei pianoforti orizzontali esiste il “doppio scappamento”, un sistema che permette di ottenere la ripetizione di una stessa nota a distanza ravvicinata premendo lo stesso tasto due volte senza che questo si rialzi del tutto.
- smorzatori: sono blocchettini di legno rivestiti in feltro, che hanno la funzione di soffocare la vibrazione di una corda.
- caviglie o piròli: sono le “chiavi accordanti” del pianoforte, che hanno il compito di tenere le corde e permettere l’accordatura di esse.
- corde: sono legate ai piroli e sono fatte in lega di acciaio; un certo numero di quelle delle note basse è fasciato in rame. Variano di diametro e lunghezza a seconda del registro sonoro. Nei pianoforti verticali ogni martelletto batte su un gruppo di due o tre corde accordate all’unisono, o su una singola corda più spessa (in genere rivestita di rame per appesantirla) per i suoni più gravi. Per i pianoforti a coda vale lo stesso discorso precedente, ma ciò che cambia è la disposizione delle corde: verticali nei pianoforti verticali e orizzontali nei pianoforti a coda.
I pedali
I pianoforti moderni possono avere dai due ai quattro pedali, a seconda del costruttore e dell’epoca di costruzione. Sono posti nella parte bassa dello strumento e servono ad alterare il suono dello strumento in diversi modi. I pedali del pianoforte sono generalmente in ottone. Si distinguono i seguenti tipi di pedale:
- risonanza o forte (normalmente a destra)
-
Tale pedale, una volta azionato, alza contemporaneamente tutti gli smorzatori, sorta di feltrini che hanno il compito di fermare le vibrazioni della corda immediatamente dopo il rilascio del tasto e di impedire la vibrazione simpatica. Di conseguenza, azionando il pedale, le corde continuano a vibrare finché il suono non si spegne naturalmente. L’impiego di questo pedale aiuta a legare i suoni e, eventualmente, a creare una sorta di alone timbrico e armonico provocato dalla vibrazione simpatica di tutte le corde dello strumento insieme a quelle effettivamente suonate.
- una corda (1 C) o piano (normalmente a sinistra)
- Tale pedale, nei pianoforti a coda, sposta leggermente tutta la tastiera e la martelliera verso la destra dell’esecutore. In tal modo il martelletto azionato dalla pressione del tasto colpisce solamente una o due corde delle tre che sono associate a ogni tasto (nei medi e acuti ogni nota è intonata da tre corde all’unisono, nella parte alta dei bassi, cioè le corde filate, ogni nota è intonata da due corde, mentre l’ottava più bassa possiede una sola corda per nota: in questa regione quindi il solo effetto di questo pedale è lo spostamento del punto di contatto sul martelletto).
- Nel dettaglio bisogna considerare anche che i martelletti sono ricoperti da feltrini nei quali si formano dei solchi dati dai ripetuti urti con le corde. Si agisce sulla durezza del suono ammorbidendo il feltro dei martelletti e quindi si può aumentare o diminuire l’effetto del pedale essendo il punto di contatto spostato rispetto a quando il pedale non è azionato. L’azione di spostamento della martelliera comporta che i feltrini dei martelletti urtino la corda in un punto diverso dai solchi e quindi in un punto in cui sono più morbidi. L’effetto è quello di produrre un suono più flebile, ovattato e intimo, adatto a creare particolari atmosfere sonore.
- Il medesimo effetto (con risultato molto meno caratterizzato) viene ottenuto nei pianoforti verticali avvicinando i martelletti alle corde, e accorciando in tal modo il percorso che il martelletto compie per raggiungere la corda.
- quarto pedale (a sinistra, solo in alcuni modelli di pianoforti a coda)
- Utilizzato e brevettato da costruttori come Fazioli e Stuart & Sons, non è altro che una trasposizione sui modelli a coda del pedale piano dei pianoforti verticali. Il meccanismo infatti non fa altro che avvicinare tutti i martelletti alle corde, riducendone la corsa e producendo così un suono di volume ridotto, senza modificarne il timbro (come invece succede con l’una corda).
- tonale o sostenuto (al centro)
- Il pedale tonale è presente nei pianoforti a coda e deve essere azionato successivamente alla pressione di un tasto o di un gruppo di tasti. È in sostanza un pedale di risonanza che agisce solo per un gruppo limitato di tasti, quelli premuti immediatamente prima all’azione del pedale; gli altri non saranno interessati dalla sua azione. È anche conosciuto come pedale Rendano dal nome del suo inventore, il pianista e compositore Alfonso Rendano.
- sordina (al centro, solo negli strumenti destinati allo studio e solo nei pianoforti verticali, al posto del pedale tonale)
- La sordina (presente anche in altri strumenti) è un pedale che aziona una leva, attraverso la quale viene interposto tra le corde e i martelletti un panno di feltro lungo quanto l’intera estensione dello strumento. Il suono così ottenuto è piuttosto attutito. L’effetto, però, benché utile per lo studio (al mero scopo di “non disturbare i vicini”), non è mai stato giudicato musicalmente gradevole, tanto che quasi nessun compositore lo ha mai sfruttato (il pianista canadese Gonzales, nome d’arte di Jason Charles Beck, ne fa largo uso nel suo “Solo Piano”, 2004, album acclamato dal pubblico e dalla critica). I pianoforti a coda ne sono sprovvisti e anche i grossi pianoforti verticali hanno, in luogo della sordina, un pedale tonale. La sordina ha perciò essenzialmente un’utilità pratica, in quanto, abbassando il volume durante gli esercizi, consente di studiare a lungo senza disturbare parenti e vicini di casa. Inoltre è l’unico pedale ad avere una rientranza nel mobile, allo scopo di “incastrarlo” senza la costante pressione da parte del musicista.
Tipi di pianoforte
Esistono diversi tipi di pianoforte:
- orizzontale: più comunemente conosciuto come pianoforte a coda; questo tipo di pianoforte è denominato, a seconda della lunghezza totale, come quarto di coda, detto anche codino (145–165 cm), mezza coda (170–190 cm), tre quarti di coda (200–240 cm), gran coda da concerto (o gran coda, o coda da concerto; più di 240 cm); essi producono, in ordine crescente, suoni qualitativamente sempre migliori, a causa dell’ampiezza sempre maggiore della cassa armonica e della maggiore lunghezza delle corde, la quale comporta minore inarmonicità. È usato principalmente per concerti ed esibizioni. Molti produttori stanno realizzando pianoforti eccezionali (artcase): alcuni sono solo decorazioni o scenografici cambiamenti degli attuali (piedi lavorati, intarsio, pittura); per altri si tratta di modifiche radicali, come nel caso del Pegasus di Schimmel, del M. Liminal disegnato da NYT Line e realizzato da Fazioli, o del Bösendorfer Imperial realizzato da Griffa Pianoforti.
- verticale: conosciuto anche come pianoforte a muro, è disposto verticalmente, così come la sua tavola armonica e le corde che stanno dietro alla tastiera. La sua altezza oscilla tra i 100 e i 155 centimetri. È usato principalmente per lo studio a differenza di quello orizzontale usato prettamente per i concerti. Le differenze con il pianoforte orizzontale sono molte a partire dell’ampiezza della cassa armonica, che è minore di quella di un pianoforte orizzontale, e dalla meccanica priva del doppio scappamento. Le corde sono disposte verticalmente (quelle gravi e parte di quelle medie sono disposte diagonalmente in maniera opposta, da qui la denominazione “a corde incrociate”; questo sistema sfrutta la maggiore lunghezza della diagonale di un rettangolo per ottenere corde più lunghe) e a ogni nota corrispondono a seconda del tipo di suono, gruppi di una, due o tre corde. Sono forniti spesso di un pedale posto al centro chiamato sordina che serve per interporre tra i martelletti e le corde un panno di feltro che attutisce il suono e lo rende più ovattato: è stato creato principalmente per non dare troppo fastidio ai vicini di casa. Nel corso della storia il pianoforte verticale ha subito molte modifiche; vennero create così anche diverse tipologie.
- a giraffa: è il prototipo più antico di pianoforte verticale, inventato tra il XVIII e la prima metà del XIX secolo, Fu inventato nel 1739 da Domenico Del Mela, originario del Mugello. La sua meccanica sta sopra la tastiera, dietro la tavola armonica. Non è fornito di scappamento.
- a piramide: fu costruito nel XVIII secolo e fu utilizzato molto a Vienna. È molto simile
a un pianoforte verticale, ma la sua cassa armonica è a forma piramidale.
- cabinet: in italiano significa armadio; fu costruito per la prima volta in Inghilterra nella prima metà del XX secolo. Le caviglie e il somiere sono sulla sommità, mentre l’attacco delle corde è vicino al pavimento. Questa disposizione fu inventata contemporaneamente sia dall’inglese John Isaac Hawkins (1772-1855) che dal viennese Matthias Müller (1770 ca.-1844). Ha la meccanica English sticker action e a baionetta.
- pianino: fu inventato a Parigi nel 1815 da Ignaz Josef Pleyel e commercializzato con il nome di “pianino”. Parte della meccanica fu però sviluppata da Robert Wornum (1780-1852) intorno al 1810: egli applicò al pianoforte verticale un sistema di corde incrociate diagonalmente, così da non dover ridurre la loro lunghezza nonostante le dimensioni ridotte dello strumento; nel 1826 creò la meccanica a baionetta (english tape action), che derivava dalla english sticker action.
- rettangolare (o a tavolo): la pianta è rettangolare; la tavola armonica sta sulla destra, mentre la tastiera è a sinistra. Il primo modello fu realizzato nel 1766 da Johannes Zumpe (1726-1790) a Londra. Ebbe un notevole successo verso le fine della seconda metà del Settecento prima in Inghilterra e poi in tutta Europa, grazie alle dimensioni ridotte e al basso costo, nonché al gradevole suono che produceva. Fu usato soprattutto in ambito domestico, ma in seguito venne sostituito dal modello verticale.
- pianola: la pianola è un apparecchio musicale automatico, senza sfumature di tono automatico. Il nome pianola deriva da una marca della Aeolian Company di New York. In Germania la Ditta Hupfeld di Lipsia produsse un sistema simile, chiamato Phonola. Le prime pianole furono prototipi; non avevano alcun sistema tecnico nella tastiera, ma suonavano con dita in legno imbottite su un pianoforte o pianoforte a coda, posatovi di fronte.
- digitale: il pianoforte digitale è uno strumento integralmente elettronico, particolarmente mirato, però, a riprodurre, con minore o maggiore fedeltà, le sonorità e il tocco del pianoforte acustico.
- elettrico: il pianoforte elettrico è uno strumento musicale elettromeccanico a tastiera molto in voga negli anni sessanta e settanta, appartenente alla categoria degli elettrofoni. Il primo modello fu costruito dalla C. Bechstein Pianofortefabrik nel 1931, era un pianoforte a coda munito di pick-up elettromagnetici ed aveva nome Neo-Bechstein.
- da viaggio: è un modello che risale alla seconda metà del XVIII secolo. La sua meccanica è semplice e senza scappamento (Prellmechanik). È uno strumento portatile e non ha supporti particolari, ma solo delle maniglie per il trasporto. Non viene più utilizzato.
- nécessaire: è sostanzialmente un mobile abbastanza piccolo con cassetti e scompartimenti, destinato all’uso femminile, con all’interno una tastiera. Risale al XIX secolo, ma è ormai caduto in disuso.
- nécessaire per fanciulli: è uno strumento di piccole dimensioni, fatto su misura per i bambini piccoli. La meccanica è molto semplice ed esso non è provvisto di particolari supporti. Anche questo modello non è più utilizzato e, di conseguenza, non esiste più.
- arabo: l’uso del pianoforte nella cultura musicale araba non è stato contemplato, se non per un breve periodo tra il 1920 e il 1940. L’esclusione dello strumento nella musica araba era determinata dall’impossibilità per il pianoforte di emettere i quarti di tono, elemento fondamentale della musica araba. Negli anni precedentemente citati, tuttavia, vennero costruiti dei pianoforti capaci di produrre tali suoni; solo dopo aspre polemiche e forti resistenze, il pianoforte venne accolto nelle orchestre egiziane, all’indomani del congresso dei musicisti arabi del Cairo del 1936. Alcuni compositori utilizzarono egregiamente i pianoforti arabi (Abdallah Chaine, Mohammed Elkourd, Mohamed Chaluf), mentre altri usarono il pianoforte con accordatura all’occidentale per creare composizioni arabe (Mohamed Abdelwahab).
Cura e mantenimento del pianoforte
- La percentuale di umidità è uno dei fattori più critici per il pianoforte: il troppo umido può deformare i legni sotto carico, mentre il troppo secco può generare fessurazioni negli stessi pezzi.
- Una grande influenza è esercitata anche dalla temperatura ambiente e dalla posizione che si dà allo strumento. La temperatura più adatta va dai 15 ai 19 °C e ogni cambio repentino di temperatura non fa bene allo strumento; per esempio, in inverno bisogna evitare di spalancare all’improvviso finestre o balconi nella stanza che ospita il pianoforte ed evitare di lasciarlo esposto per troppo tempo alla bassa temperatura. Anche l’azione diretta dei raggi del sole è fatale per la vernice, le impiallacciature, i legni e le corde.
- Bisogna evitare che lo strumento si trovi vicino a fonti di calore (stufe, camini, termosifoni eccetera) o direttamente esposto alla radiazione solare.
- La vicinanza ad una parete esposta all’esterno dell’abitazione può causare danni. Cantine e mansarde sono assolutamente da evitare, se non ventilate.
- Non bisognerebbe appoggiare nulla sul mobile (fascicoli di musica, vasi, portacenere, bottiglie, bicchieri eccetera), o si comprometterebbero purezza e intensità del suono.
- Non si deve pulire l’interno dello strumento, soprattutto con prodotti aggressivi, o i legni sarebbero seriamente danneggiati. La pulizia va fatta da un tecnico, il quale decide se eventualmente sia il caso di rimuovere la meccanica per una pulizia più profonda. Per la pulizia esterna, bisogna usare prodotti specifici che preservino lucentezza e colorazione della superficie.
- Va posta attenzione anche a insetti e topi. Per gli insetti, si possono collocare all’interno bustine di repellente. Nel caso vi sia un problema di topi, si devono precludere le vie di accesso al pianoforte, come i fori dei pedali, nei lunghi periodi di assenza.
- Non bisogna “imbottire” la stanza che ospita il pianoforte, evitando tende pesanti e grosse, mobili troppo grandi e rivestiti di tessuto, tappeti e tappezzerie pesanti: il motivo è che questi elementi modificano e smorzano il suono
- Manutenzione ordinaria, da effettuarsi 1 o 2 volte l’anno nei cambi di stagione (per gli orecchi più fini si può effettuare ogni 3 mesi). Essa consiste in 3 fasi: regolazione della meccanica, accordatura (agendo sulla tensione delle corde si ripristinano i giusti intervalli armonici) e intonazione (agendo sul feltro dei martelli con uno strumento munito di aghi detto “intonatore” si modifica irreversibilmente il timbro).
- Manutenzione straordinaria (sostituzione corde, caviglie, parti meccaniche, feltri, cashmir, rullini e martelliera). Quando lo strumento necessità di interventi più invasivi (sostituzione o riparazione della tavola armonica, riverniciatura) si parla di un vero e proprio restauro.